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SALUTE 14 NOVEMBRE 2017  13:13 di Andrea Centini - http://scienze.fanpage.it/

Autismo, nuovo farmaco lo cura nei topi: scienziati ottimisti per i test sull’uomo

Un farmaco sperimentale chiamato “nitrosinaptina” ripristina il funzionamento dei neuroni e normalizza i comportamenti di topi affetti da autismo murino. La cura potrebbe essere efficace per la maggior parte delle forme di autismo nell’uomo: attesi i primi test clinici.

Un nuovo farmaco sperimentale chiamato “nitrosinaptina” potrebbe curare la maggior parte delle forme dei Disturbi dello Spettro Autistico (DSA), meglio conosciuti come autismo. L'eccezionale scoperta è stata fatta da un team di ricerca internazionale coordinato da studiosi dell'autorevole The Scripps Research Institute di La Jolla, California, che hanno testato con successo la molecola sui topi. Nei roditori affetti da autismo murino, infatti, il farmaco non solo ha ripristinato la corretta funzionalità dei neuroni, ma ha avuto anche un impatto positivo nei comportamenti degli animali e sulle anomalie cerebrali tipiche del disturbo. In pratica, la nitrosinaptina potrebbe davvero riuscire a curare l'autismo nell'uomo.

Al momento i test sono stati effettuati soltanto su modelli murini e su cellule in coltura di pazienti autistici, offrendo evidenze preliminari dei potenziali benefici. Gli scienziati, coordinati dal professor Stuart Lipton, sono dunque in attesa del via libera per poterlo sperimentare nella cosiddetta fase clinica, ovvero direttamente sugli esseri umani. “Pensiamo che questo candidato farmaco possa essere efficace contro multiple forme di autismo”, ha sottolineato con entusiasmo l'autore principale dello studio.

Ma come funziona esattamente la nitrosinaptina? In parole semplici, questa molecola riequilibra l'attività dei neuroni coinvolti nella malattia, riducendone l'eccesso di eccitazione e favorendo la funzionalità inibitoria. In altri termini, mette un freno all'eccesso di attività neurale responsabile dei disturbi dello spettro autistico. I topi, una volta trattati, dopo la normalizzazione dell'attività dei neuroni non hanno più mostrato i comportamenti caratteristici dell'autismo.

L'entusiasmo sui risultati di questa ricerca è tale che associazioni di genitori di bambini autistici stanno agendo per sostenerla in ogni modo, anche sui social network. La speranza è che il nuovo farmaco possa dare risultati tangibili quando verrà impiegato nei primi test clinici. I dettagli dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communications.

SALUTE 11 GIUGNO 2018  13:52 di Andrea Centini - http://scienze.fanpage.it/

Autismo, italiani svelano dove e perché nascono i sintomi: orgoglio nazionale

Ricercatori italiani hanno dimostrato che una specifica mutazione genetica – chiamata delezione 16p11.2 – presente nella forma di autismo più diffusa determina uno ‘scollegamento’ tra la corteccia prefrontale e altre aree corticali del cervello, innescando i deficit socio-cognitivi tipici dei disturbi dello spettro autistico.

Nella forma di autismo più diffusa, una parte del cervello – la corteccia prefrontale – si ‘isola' dalle altre e non riesce più a comunicare in modo corretto, scatenando i sintomi tipici della condizione come lo scarso interesse alle relazioni sociali e i problemi di comunicazione. A dimostrarlo un copioso team di ricerca guidato da studiosi italiani dell'Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) e dell'Università di Pisa. Hanno collaborato al progetto anche l'Università di Torino, l'Università di Verona, il Laboratorio europeo di biologia molecolare di Monterotondo, il CNR di Catanzaro e il S. Anna Institute and Research in Advanced Neuro-Rehabilitation di Crotone.

Gli scienziati, coordinati dal dottor Alessandro Gozzi e dal professor Massimo Pasqualetti, hanno svelato questa sorta di ‘scollegamento cerebrale' provocato dal DNA grazie a una duplice indagine parallela. La prima è stata condotta scansionando – con una risonanza magnetica funzionale – il cervello di 30 bambini affetti da una delle forme più comuni di disturbo dello spettro autistico, quella legata alla mutazione genetica nota col nome di “delezione 16p11.2”. La seconda analizzando il cervello in modelli murini (topi) colpiti dalla medesima condizione genetica, che ha permesso di evidenziare la stessa carenza di connettività e comunicazione emersa tra le parti corticali del cervello umano, che è alla base dello sviluppo dei deficit socio-cognitivi.

“Grazie a questa analisi parallela – ha dichiarato il professor Pasqualetti – siamo riusciti ad esaminare le connessioni neuronali a livello neuroanatomico fine, cioè con un dettaglio estremo, scoprendo, attraverso lo studio sui modelli animali, quali siano le anomalie strutturali potenzialmente all’origine dei difetti di connettività cerebrale riconducibili allo specifico disturbo dello spettro autistico riscontrato nei bambini portatori della delezione 16p11.2”. “Questo studio – gli ha fatto eco il dottor Gozzi – rappresenta un’importante dimostrazione di come specifiche alterazioni del DNA possano compromettere le connessioni cerebrali e la regolare funzione del cervello, causando una delle forme più diffuse di autismo”.

Conoscere le basi genetiche che determinano l'isolamento della corteccia prefrontale dal resto del cervello – in particolar modo dalle regioni parietali temporali – può aiutare gli scienziati a comprendere meglio quante e quali forme di autismo esistono, e di conseguenza a sviluppare le migliori terapie mirate per il trattamento della condizione. La ricerca, che ha coinvolto uno spiegamento di ‘forze' considerevole, è stata possibile grazie ai fondi della Simons Foundation for Autism Research Initiative, un'organizzazione statunitense dedita alla selezione e al finanziamento degli studi più promettenti e innovativi sul fronte dei disturbi dello spettro autistico. I dettagli dell'indagine italiana sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Brain.

“Disabili Pride 2017” Napoli - Maschio Angioino, Sala dei Baroni - dal 7 al 9 luglio

Intervento del dr. Giorgio Marino – Presidente AGAN Onlus

La recente approvazione della legge sul “Dopo di noi”, da molti ritenuta risolutiva di un problema che attanaglia la quasi totalità dei genitori di adulti disabili, non ha fornito le risposte e le soluzioni in cui molto si era sperato. La verità è che la legge sul “Dopo di Noi” non ha una adeguata copertura finanziaria e, come spesso accade quando i soldi sono pochissimi o addirittura mancano del tutto, l’approvazione servirà solo al governo di turno, come trofeo da mostrare in vista di una qualche eventuale futura campagna elettorale.
La cruda verità è che lo scopo che si prefigge chi ci governa, ci ha governati e ci governerà, è quello di smontare molto lentamente, in modo che il cittadino non se ne renda conto, il nostro welfare, facendo passare i tagli allo stato sociale come ristrutturazioni e risparmi di spesa, il tutto in nome di quella efficienza di cui tutti parlano ma che in realtà nessuno è veramente interessato a raggiungere. E questo è cosa gravissima se pensiamo che il grado di civiltà di un Paese si misura anche e soprattutto dalla capacità che ha la società di prendersi cura della sua parte più debole e cioè dei disabili, degli anziani e dei bambini.
Il rilievo mosso dal presidente dell’ISTAT in presenza della Commissione Affari Sociali, relativo al fatto che si fosse provveduto a stanziare dei fondi senza neanche conoscere il numero esatto dei disabili diretti interessati (nel nostro Paese manca un’anagrafe della disabilità), e senza che venissero considerati i sistemi di classificazione internazionali (ICF), da un’idea del grado di approssimazione con cui questa importantissima questione sia stata affrontata.

In realtà chi non ha un disabile in famiglia non riesce ad avere un’idea precisa dell’impatto che una politica del genere ha sulla vita della famiglia stessa. Se non c’è uno stato sociale valido si assiste ad un lento ritirarsi della famiglia fino a giungere alla morte sociale del nucleo familiare del disabile. Nasce “La famiglia fantasma” e cioè la famiglia che da sola si fa carico del proprio caro, della sua riabilitazione, della sua quotidianità e dei suoi bisogni ad eccezione delle poche ore che eventualmente, se ancora in età adolescenziale, il disabile trascorre in un qualche centro di riabilitazione.
Questo genere di scelta, se scelta si può chiamare, comporta un tale grado di difficoltà e di fatica che, come ha sostenuto Elisabeth Blackburn, premio Nobel per la medicina, l’aspettativa di vita per i genitori di un figlio disabile, è generalmente più bassa di 17 anni rispetto a quella di genitori con figli normodotati. I nostri figli disabili, a quanto pare, dovranno vivere per lunghi e molti anni dopo la nostra morte. Questa prospettiva, però, sembra essere sconosciuta alla maggior parte dei nostri politici o almeno a quelli che si sono adoperati nella stesura della legge sul “Dopo di Noi”.
Tutto questo mi ha spinto a cercare una possibile soluzione a questa che a tutt’oggi rimane ancora la questione, per noi genitori di disabili gravi ed non autonomi, da risolvere con urgenza. Nasce cosi il progetto di una “Cascina per la vita” di AGAN.
Una cascina per la vita è il desiderio, sogno e progetto di un gruppo di genitori con figli autistici di creare una struttura del tipo “Farm Community” in cui i figli possano vivere la loro vita da adulti, nel rispetto delle esigenze e delle peculiarità di ognuno di loro, aiutati e supportati da personale competente e motivato in grado di garantire la giusta assistenza ai loro bisogni speciali. E questo per impedire che possa ripetersi ciò che fino ad oggi è accaduto e cioè che gli autistici con disabilità intellettiva di grado medio o elevato con scarsa o privi di autonomia, siano costretti a rimanere in famiglia anche in età adulta per poi essere rinchiusi in strutture territoriali al sopraggiungere della vecchiaia o morte di entrambi i genitori, strutture che fungevano ed ancora fungono da “contenitori generici” pronti ad accogliere pazienti affetti da ogni tipo di disabilità grave sottoponendoli , nei casi più fortunati, a programmi riabilitativi validi per tutti, senza distinzione di patologia. Inutile dire che, in molti casi, le peculiarità dei soggetti autistici non solo non venivano rispettate ma che anzi in molti casi venivano considerate da ostacolo ai progetti riabilitativi per cui spesso tali soggetti ne restavano esclusi.
Da qui la necessità di creare un contesto in cui si tenga conto delle reali esigenze dei soggetti autistici e delle loro difficoltà più evidenti e cioè:
- la difficoltà a sviluppare in modo integrato le esperienze.
- La difficolta a creare un rapporto con l’interlocutore capendone, nel contempo, le intenzioni.
- La difficoltà e spesso l’incapacità ad elaborare un pensiero astratto.
- L’incapacità ad organizzare spontaneamente le sequenze.

Questo per noi genitori dovrà essere la finalità principale della farm community che andremo a costruire.
Temple, Grandin in “Pensare per immagini” descrive con molta chiarezza e precisione queste caratteristiche. Queste le sue parole: “ La realtà di una persona autistica è una massa interattiva e confusa di eventi, persone, luoghi, rumori e segnali… routine, scadenze predeterminate, percorsi e rituali specifici aiutano a mettere ordine in uno stile di vita caotico”.
E pensare che chi descrive la confusione in cui solitamente si dibatte un soggetto autistico è lei stessa un’autistica, ad alto funzionamento però che, pur essendo docente all’università del Texas, ha dovuto inventarsi una “squeezing machine” e cioè uno strumento in grado di comprimere e bloccare parti del corpo sottoponendole a pressioni, quando si sente sopraffatta da stimoli troppo forti e violenti.
Gli autistici necessitano di un contesto di vita che sia in grado di ridurre ed attenuare i troppi stimoli che altri contesti forniscono. La farm community come sostituta della squeezing machine.
In North Carolina, dove Eric Shopler introdusse la metodologia Teacch, fu condotto uno studio comparativo sui risultati ottenuti in una Farm Community, il “Carol Living Center”, ed altri setting, famiglie, istituti e gruppi “homes”; in cui si evidenziava che nei soggetti ospiti in “ Farm Communities” le aree della Comunicazione, Socializzazione, Autonomia e Gestione dei comportamenti, risultavano essere maggiormente sviluppate ed articolate. L’apertura verso il territorio e verso le comunità abitative vicine permette infatti una maggiore inclusione nel tessuto sociale circostante dei soggetti autistici altrimenti destinati, nella maggior parte dei casi, a varie forme di isolamento. È noto che autistici inseriti in ambienti non adeguati non ottengono risultati proporzionali alle loro capacità.
Il concetto di Farm Community nasce negli anni 70’, anni in cui si sviluppa l’idea che un contesto agricolo possa rivelarsi per gli autistici più rilassante e più confacente alle loro caratteristiche, a differenza dell’ambiente di città, ritenuto più stressante e confusivo e che favorisce quindi la già spiccata attitudine degli autistici ad isolarsi. Le prime Farm community nascono nei paesi anglosassoni e solo in un secondo momento si diffondono nel resto del mondo occidentale. La prima fattoria sociale, Cascina Rossago, nel nostro Paese sorge in Lombardia nel 2002 .
Benché esse teorizzino approcci diversi, hanno comunque delle caratteristiche che le accomunano:
- un ambiente rurale, ritenuto più adatto a realizzare condizioni di vita coerenti e prevedibili tramite il susseguirsi di attività quali la cura dell’orto, la coltivazione di fiori o prodotti agricoli, la cura degli animali e la lavorazione dei prodotti, tutte attività altamente prevedibili e adatte a soggetti sia ad alto che basso funzionamento.

- Interventi ed attività integrati in un contesto ecologico e guidati dal ciclo naturale del tempo (giorni e stagioni).
- Insediamenti abitativi di ridotte dimensioni in cui non vige una strutturazione di carattere istituzionale ma di tipo familiare, organizzati in più moduli distinti ma integrati da alcuni servizi centralizzati.
- Progettazione individualizzata degli interventi a seconda delle caratteristiche e dei bisogni (abilità, disabilità, predisposizioni ecc.) di ogni singolo soggetto.
- Pianificazione di tipo lavorativo di ogni singola attività, indipendentemente dalle capacità individuali. Ogni attività, dalla più semplice alla più complicata, dovrà essere organizzata come un lavoro di cui dovranno essere chiari il significato, l’utilità ed il fine, prestando la dovuta attenzione al fatto che il lavoro si svolga nella maniera meno ripetitiva, seriale e meccanica possibile.
- Nella stessa ottica, si da spazio ad attività di tipo ludico ed espressivo-creativo.
- Stesura di programmi psicoeducativi strutturati, valutati ed opportunamente modificati quando necessario, a guidare la quotidianità, unitamente ad interventi comportamentali di tipo positivo.
- Lavoro con l’ausilio di strategie aumentative e supporti visivi al fine di migliorare quello che è il problema basilare del soggetto autistico e cioè la comunicazione. A tal si analizza e si considera il valore comunicativo del comportamento problema.
- Operatori soggetti a supervisione ed a formazione permanente.
- Apertura costante verso le realtà esterne ed il territorio tramite continuità di scambi.
- Coinvolgimento delle famiglie nella stesura dei programmi e delle attività.
Questo è anche il pensiero di AGAN un’associazione di genitori che ha capito quello che Italo Calvino aveva già ben compreso. Abbiamo cioè capito, che qualsiasi cosa vogliamo fare per i nostri figli non possiamo farlo da soli e ancor più non possiamo da soli affrontare un progetto di vita che possa dare a noi speranza e serenità mentre ai nostri ragazzi un futuro e una vita dignitosi. Per questo motivo abbiamo costituito l’associazione Agan, che ha come unico scopo statutario la realizzazione di un progetto di vita per i nostri ragazzi. Vogliamo costruire il futuro dei nostri figli sulla nascita di una nuova imprenditorialità sociale che, pur avendo le caratteristiche tipiche dell’impresa privata, ponga come fondamento della propria azione non il profitto, non l’utile, ma il raggiungimento di obiettivi comuni volti a garantire una migliore qualità della vita dei nostri ragazzi. Sappiamo di avere un progetto molto ambizioso, ma sicuramente non irrealizzabile. Unendo le forze, le singole competenze e le capacità individuali, impegnandoci in prima persona per realizzare quello in cui crediamo, siamo certi di poter riuscire nell'impresa, che per altro e già riuscita ad altri genitori. L’associazione Agan per la natura dei suoi scopi è un’associazione un po’ particolare. Essa, infatti, non mira ad avere una quantità infinita di soci, come invece aspirano le normali associazioni, ma punta sulla costituzione di un gruppo massimo di 20 famiglie. Queste, oltre a condividere lo scopo sociale, la vision e la mission dell’associazione, devono farsi parte attiva del progetto associativo in tutte le fasi, dalla progettazione alla realizzazione, alla gestione e devono, soprattutto, concorrere economicamente alla realizzazione e alla sostenibilità per il raggiungimento dello scopo sociale.
Lo staff verrà supportato invece con un programma di formazione permanente attraverso la collaborazione con specialisti esterni. Poiché le maggiori difficoltà per gli operatori, in un progetto di questo tipo, risiedono nelle capacità di questi di immedesimarsi negli ospiti, la programmazione di un’attività di supervisione continuativa, permetterà agli operatori di attuare quelle strategie in grado di poter meglio sviluppare e potenziare le capacità e le aree forti di ogni singolo soggetto autistico. Ciò permetterà di ridurre in maniera consistente l’uso dei trattamenti farmacologici, utilizzati in maniera massiccia in altri contesti, mentre l’adozione di strategie adeguate e la risoluzione dei problemi aumenteranno il valore educativo, l’autonomia e il livello comunicativo di ogni singolo soggetto autistico.
Ma qual è il motivo per cui riteniamo di fondamentale importanza l’impegno economico da parte di noi genitori?
E’ chiaro a tutti, ormai che lo Stato non può o non vuole più farsi carico del costo di gestione delle strutture riabilitative e quindi, in definitiva del processo riabilitativo dei nostri figli, tant’è che ormai molte delle strutture fondate sulle cosiddette esperienze miste, cioè ASL più imprenditoria privata, stanno scegliendo di abbandonare la riabilitazione di tipo specialistico per accogliere quante più patologie possibili in modo da abbassare i costi di gestione ed aumentare i profitti. Chi investe, del resto, lo fa soprattutto per trarne un profitto. Non accadrebbe lo stesso se accanto allo Stato ci fossero i genitori imprenditori. Infatti, un’impresa senza fini di lucro, riverserebbe tutte le risorse nel progetto, anche e soprattutto gli eventuali “guadagni”. All’impegno statale e a quello delle famiglie si andrebbero ad affiancare, inoltre, attività di crowdfunding e fundraising, fondi provenienti dai privati e dalla partecipazione a bandi ecc.. Ciò permetterebbe allo Stato e quindi all’ente Regione e quindi all’ASL di competenza di raggiungere un notevole risparmio sui costi di mantenimento della struttura, e alla cascina di avere una propria autonomia operativa.
Sappiamo che l’impegno economico richiesto alle famiglie potrebbe far sorgere anche degli interrogativi di tipo etico: e le famiglie che non dispongono di risorse proprie? Al momento tale questione rimane irrisolta ma, del resto, bisogna pur incominciare a cercare di garantire un futuro ai nostri figli. Non si può rimanere fermi ad attendere quello che ormai nessuno Stato vorrà o potrà più assicurare e del resto l’idea che i costi di mantenimento gravino per 1/3 sullo Stato, 1/3 sulla famiglia e per il terzo rimanente giungano da fondi derivanti da altre attività, è ormai accettata e consolidata e al momento sembra essere l’unica strada percorribile per assicurare un futuro sereno ai nostri figli e a noi genitori a non sentirci obbligati a sperare di vivere più a lungo dei nostri figli.

Giorgio Marino